lunedì 31 ottobre 2011

The point about Israel and Palestine without the usual disinformation

Hamas lancia razzi, Israele risponde- Due cronache a confronto + un commento


http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=42030 

I missili da Gaza colpiscono Israele, e Israele risponde. Ne scrivono la STAMPA e il MANIFESTO. Il quotidiano torinese con un articolo di Aldo Baquis, nel quale vengono riportati gli avvenimenti nella loro corretta successione.
Baquis riporta anche la notizia del 'principe saudita che offre 900 mila dollari a chi catturerà soldati dello Stato ebraico'. Chissà se questo gesto stimolerà qualche editoriale sui nostri giornaloni, ne dubitiamo, di commenti, oggi, non ne abbiamo trovato nemmeno uno. L'unica eccezione è il GIORNALE, che pubblica un breve commento di Fiamma Nirenstein, sotto un titolo che però non riflette il contenuto dell'articolo. Chi l'ha scritto si è limitato a leggere la prima riga del pezzo, se leggeva anche le successive si sarebbe reso conto dell'errore che stava facendo !
La preoccupazione di Michele Giorgio, sul MANIFESTO, è invece quella di riferire che "
razzi Grad (caduti nei pressi di Ashdod e nel Neghev senza provocare danni)."
Non avendo provocato danni, Israele avrebbe fatto meglio ad ignorare il lancio, così come non avrebbe dovuto disturbare la preparazione di nuovi lanci a Gaza. E' questa la filosofia del quotidiano di Rocca Cannuccia, che oggi, 30/10/2011, in prima pagina pubblica una lettera aperta a Giorgio Napolitano percè intervenga ad impedire che "vengano chiusi un centinaio di giornali politici", evidentemente non acquistati nelle edicole dai loro simpatizzanti e che continuano a vivere grazie ai soldi dello stato. Avendo il coragguo di titolare " Appello per la libertà di stampa" ! che coraggio, era più corretto avessero titolato " Per la libertà di essere mantenuti dallo stato". Ma si sa, non è certo la faccia tosta che manca al MANIFESTO.
Ecco gli articoli:

Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Fa pena lo sceicco che offre un milione per un nuovo Shalit"

Fiamma Nirenstein
Che pena quando a fronte di tante aspirazioni che noi pretendiamo si levino dal mon­do arabo con la loro primavera, di fatto ci si deve accorgere che quella più evidente, quella più pubblicizzata è sempre la stes­sa: far fuori qualche ebreo, ag­gredire Israele. È la migliore di tutte le pubblicità, venghino venghino signori e signore. Adesso, dopo che alla restituzio­ne di Gilad Shalit ha corrisposto il rilascio di 1027 prigionieri pale­stinesi, quasi tutti con le mani lorde di molto, molto sangue in­nocente, si sa che Hamas e sotto­voce anche Fatah­hanno seguita­to a promettere qualche altro ra­pimento, così da soddisfare l’inesausto desiderio di avere al­tri assassini a casa. Ma chi ha vo­luto battere tutti nel mettere energia in questo invito è lo sce­icco saudita Khaled Bin Talal Bin Abdelaziz, che ha promesso 900mila dollari a chi rapirà un bel soldato israeliano nuovo di zecca per procedere a altri inde­gni commerci di carne umana. Perché 900mila? Perché c’è un altro sceicco che aveva promes­so di già 100mila dollari, e così in­sieme uno si può fare un bel mi­lioncino tondo. Un degno obiet­tivo secondo Khaled Bin Talal, uno dei 7000 membri della fami­glia saudita regnante, evidente­mente cercava un modo di met­tersi in vista, e..oh si che l’ha tro­vato.

La Stampa-Aldo Baquis: " Gaza. raid israeliani, uccisi sette miliziani, lanciavano razzi "

Gaza, pic nic di 'miliziani'
All’indomani dello scambio di prigionieri, Israele e Hamas sono impegnati a saggiarsi a vicenda e a definire nuove «regole del gioco» regionali. Lo si è compreso ieri quando, dopo l’eliminazione di una cellula della Jihad islamica a Gaza da parte dell’aviazione israeliana (5 morti), le milizie palestinesi hanno lanciato razzi Grad verso le città israeliane del Neghev, costringendo un milione di persone a riparare nei rifugi. Tre cittadini sono stati feriti ad Ashkelon. Oggi, per ragioni prudenziali, in quelle città le scuole resteranno chiuse.

La nuova fiammata di violenza ha sorpreso i dirigenti israeliani secondo cui in questa fase Hamas avrebbe maggiore interesse a tenere in vita una tacita tregua. Mercoledì invece da Gaza è stato sparato un razzo Grad che è esploso 20 chilometri a Sud di Tel Aviv. Quel giorno correva l’anniversario della uccisione a Malta del leader della Jihad islamica, Fathi Shkaki (1995). Da qui la deduzione, in Israele, che i radicali islamici palestinesi avevano avuto ordine dall’Iran o dalla Siria di agire.

La Jihad islamica ha negato di essere responsabile di quel lancio. Ma ieri, quando alcuni suoi capi militari si sono radunati a Tel el Sultan, nel Sud della Striscia, i velivoli militari israeliani hanno avuto la netta sensazione che stessero per sparare un altro razzo. C’è stato un intervento preventivo, dicono fonti a Tel Aviv, e sul terreno sono rimasti uccisi cinque responsabili militari della Jihad, fra cui Ahmed Sheikh Khalil, esperto di balistica. E in serata in un nuovo raid sono stati uccisi altri due palestinesi.

A Gaza si vivono giornate di grande fermento, mentre Hamas festeggia la liberazione di centinaia di suoi prigionieri dalle carceri israeliane. Ieri dal Cairo è giunta inoltre, per la prima volta, una delegazione dei Fratelli musulmani, mentre dall’Arabia Saudita il principe Ahmed Sheikh Khalil ha fatto sapere che donerà volentieri 900 mila dollari a chi rapirà un soldato israeliano da scambiare, come Ghilad Shalit, con detenuti palestinesi. In questo clima di entusiasmo patriottico e di mobilitazione militare (mentre a Gaza giungono peraltro forniture militari dagli arsenali della Libia) la reazione dei gruppi armati locali all’uccisione di Sheikh Khalil e dei suoi compagni è stata immediata ed irruente. Gli abitanti di Gaza hanno allora visto dalle loro finestre una decina di razzi elevarsi in cielo verso Israele, mentre anche i mortai palestinesi entravano in azione. Come a dire che l’era delle «esecuzioni mirate» israeliane a Gaza è adesso terminata e che per ogni capo-milizia che cade sul terreno le città di Israele saranno messe a ferro e fuoco.
Il Manifesto-Michele Giorgio: " Uccisi sette palestinesi "

Gaza, in attesa del lancio
Lo scambio di prigionieri tra Israele e Hamas è definitivamente alle spalle. I più ottimisti sono stati subito smentiti, tutto è tornato come prima: la Striscia di Gaza resta sotto blocco israeliano e la tensione è sempre alta, segnata da improvvise escalation militari. Ieri l’aviazione israeliana ha ucciso sette militanti delle Brigate al Quds, il braccio armato del Jihad, che si trovavano in un campo di addestramento a Tel al Sultan, un sobborgo di Rafah, sulla frontiera con l’Egitto. «Si preparavano a lanciare attacchi contro Israele» ha spiegato il portavoce militare dello Stato ebraico che ha fatto riferimento anche al lancio da Gaza, ad inizio settimana, di razzi Grad (caduti nei pressi di Ashdod e nel Neghev senza provocare danni). Ma il raid non è stato solo una rappresaglia, un botta e risposta come tanti altri. È stato certamente preparato con largo anticipo. I servizi segreti israeliani devono aver saputo dai loro informatori nella Striscia di Gaza della presenza ieri nel campo di addestramento di un alto comandante militare del Jihad, Ahmad al-Sheikh Khalil, noto con il nome di battaglia di Abu Khadar. La risposta del Jihad è arrivata subito. Almeno 20 Grad lanciati da Gaza sono caduti ieri in territorio israeliano. In gran parte dei casi non hanno fatto danni ma otto razzi hanno colpito Ashdod, Gad Yavne e Ashqelon, facendo almeno tre feriti. Ieri sera l’intero sud di Israele era in stato di allerta. Il raid aereo di ieri lancia segnali importanti. Il premier Netanyahu, accusato di debolezza dalla destra radicale per aver scarcerato 477 detenuti politici palestinesi in cambio della liberazione di Ghilad Shalit, fa sapere che contro Gaza e i palestinesi che vi risiedono il suo governo continuerà ad usare il pugno di ferro. Ieri sono stati colpiti i militanti del Jihad, la prossima volta, lascia intendere Netanyahu, colpiremo senza esitazione obiettivi di Hamas. Nessuno – manda a dire il premier - si faccia illusioni su un cambiamento di rapporti tra Israele e ilmovimento islamico dopo lo scambio di prigionieri. Il pesante raid aereo si inquadra in quadro regionale sempre più complesso. La Siria sta precipitando nella guerra civile e Tel Aviv si augura che la crescente instabilità del regime di Bashar Assad porti all’interruzione dell’alleanza, a più livelli, tra Damasco e Tehran, creando condizioni favorevoli ad un blitz israeliano (o americano) contro le centrali nucleari iraniane Venerdì Nahum Barnea, giornalista di punta del principale quotidiano israeliano Yediot Ahronot, ha scritto di una decisione segreta presa da Netanyahu e dal ministro della difesa Ehud Barak di attaccare nei prossimi mesi l’Iran, nonostante il parere contrario delle Forze Armate e dei servizi segreti. E qualcosa di concreto deve esserci se qualche giorno fa il segretario generale del movimento sciita libanese Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha avvertito che «la prossima guerra con Israele vedrà al centro della battaglia anche Tel Aviv». Barnea ha parlato di quattro schieramenti in Israele sulla questione del nucleare iraniano. Il primo sostiene l’efficacia delle sanzioni internazionali contro Tehran ed esclude il raid aereo poiché darebbe risultati limitati e vedrebbe l’Iran attaccare Israele massicciamente con i missili balistici, con il probabile intervento di Hezbollah dal Libano. Il secondo schieramento invita alla calma, pensa che prima di due anni Tehran non avrà l’atomica (ammesso che voglia davvero dotarsi di armi nucleari, ndr) e che in questi 24 mesi ci saranno importanti sviluppi nella regione, a cominciare dalla possibile caduta del regime iraniano sull’onda delle proteste che da dieci mesi attraversano Nordafrica e Medio oriente. Il terzo include gran parte dei comandantimilitari e dei servizi di sicurezza, tutti contrari ma con accenti diversi all’attacco contro l’Iran. Il quarto schieramento è quello guidato da Netanyahu e Barak che, ha scritto Barnea, «sono gatti siamesi quando si parla dell’Iran». Netanyahu ne fa una questione ideologica, per lui il presidente iraniano Ahmadi Nejad è «un nuovo Hitler». Barak più semplicemente dice di trovare logico (dal punto di vista israeliano) attaccare per interrompere le attività nucleari iraniane, come Israele ha fatto, nel 1981, con gli F-15 lanciati contro la centrale atomica di Osirak in Iraq. Quando scatterà l’attacco contro l’Iran? Barnea non lo dice mafa capire che avverrà presto, al più tardi in primavera.
domenica 30 ottobre 2011

Il quotidiano dei vescovi italiani razzista e xenofobo Naturalmente solo nei confronti di Israele



http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=1&sez=110&id=42029 

Che AVVENIRE, tranne rarissime occasioni, dimostri nei confronti di Israele solo ostilità (per non dire di più) è un fatto. In questo pezzo, uscito oggi 29/10/2011 a pag.30, con il titolo " In Israele il calcio ormai parla arabo ", a cura della redazione, AVVENIRE assume toni razzisti e xenofobi, nei confronti soprattutto dei cittadini arabi israeliani. Chi in Italia si sarebbe mai sognato di fare classifiche tra giocatori del nord o meridionali, italiani oppure stranieri ? Chi mai l'avesse fatto si sarebbe, giustamente, attirato ogni sorta di critiche, comprese quelle di razzista e xebofobo.
Trattandosi di Israele, tutto è consentito.
Anche quando si tratta di notizie che riguardano il mondo dello sportAVVENIRE deve sempre mettere in evidenza che in Israele vige l'apartheid citando le parole di un deputato arabo-israeliano Ahmed Tibi: "il mondo dello sport che conta resta solitamente precluso agli arabi d'Israele, con la sola zona franca del calcio: da qui la predilezione per questa disciplina, anche oltre i rocciosi muri che continuano a dividere la regione". il "muro" è per il 90% una recinzione che protegge Israele da attacchi terroristici, ma per AVVENIRE questo è, evidentemente, un dettaglio.
Ecco l'articolo:


 TEL AVIV Il calcio israeliano cambia volto ed è sempre più arabo. Lo si avverte ovunque: nei campi di periferia, fra le squadre giovanili, nei club di serie A e, ormai, anche nella Nazionale biancoceleste con la stella di Davide. Le statistiche di quest'anno sono eloquenti. Gli attaccanti più in vista - Wissam Amasha e Ahmed Saba - sono arabi, come quattro delle dieci punte più prolifiche. Dei 192 goal realizzati finora nella massima serie, 39 sono stati frutto dell'estro di giocatori israeliani non ebrei. L'onore "pallonaro" degli arabi d'Israele (i1 20% dei 7,5 milioni di abitanti) è tenuto alto non più solo dalla loro squadra di bandiera, il Bnei Sakhnin (Galilea). Infatti, anche i club più in vista si contendono le vedettes dell'altra "sponda"; considerate talora più prestanti, sovente più fantasiose, quasi sempre più determinate in campo. Tanto che il Maccabi Netanya ha affidato a un arabo la fascia di capitano. Una tendenza alla quale non si allinea il Beitar di Gerusalemme - legato storicamente alla destra nazionalista israeliana e con una tifoseria che in passato ha avuto ripetute espressioni di xenofobia. Di stagione in stagione, inoltre, la presenza araba si fa sempre più folta anche in Nazionale. Nelle squadre giovanili la tendenza è ancor più marcata e c'è già chi prevede che in un futuro non lontano solo un giocatore professionista su due sarà ebreo. Il fenomeno - che ha acceso l'interesse della stampa sportiva e della televisione - ha profonde ragioni sociologiche, azzarda qualche studioso. I giovani arabi in Israele, specialmente quelli che vivono in aree periferiche, sono molto più abituati a praticare il "calcio di strada" dei coetanei ebrei, che trascorrono più tempo davanti al computer o alla tv. D'altronde, provenendo da una minoranza non di rado marginale, essi vedono l'impegno sportivo come un meccanismo d'emancipazione dal disagio e una speranza di benessere per se e le loro famiglie. Secondo Ahmed Tibi, deputato araboisraeliano alla Knesset (il Parlamento), il mondo dello sport che conta resta solitamente precluso agli arabi d'Israele, con la sola zona franca del calcio: da qui la predilezione per questa disciplina, anche oltre i rocciosi muri che continuano a dividere la regione. Tibi sottolinea come il fenomeno, del resto, non sia confinato a queste latitudini: anche in Europa, afferma, il numero dei giocatori musulmani è in crescita costante. La stampa locale segue in ogni modo, e con una certa simpatia, questi sviluppi. I giovani arabi, scrive, si distinguono per impegno, dedizione, virtù agonistiche. E la loro ascesa nello sport del pallone (raro elemento unificante fra le passioni di massa di ebrei e arabi) potrebbe far bene non solo al calcio israeliano, ma anche alla coesione del Paese.

La verità è semplice: non vogliono alcun compromesso, vogliono tutto.

Nella foto in alto: il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) ostenta l’immancabile mappa delle rivendicazioni territoriali palestinesi: Israele è cancellato
Indipendentemente da quanto le si offra – soldi, concessioni ed anche passi avanti verso l’indipendenza – la risposta dell’Autorità Palestinese è sempre “no”. Mass-media, “esperti” accademici e governi sembrano fare molta fatica a capire questo singolare fenomeno. La risposta in realtà è semplice, ma un sacco di gente pagata per occuparsi di queste faccende non la afferra. Dunque, mi sia permesso chiarire. La spiegazione è: l’Autorità Palestinese vuole tutto.
L’Autorità Palestinese vuole uno stato indipendente su tutta la Cisgiordania, la striscia di Gaza e Gerusalemme est senza restrizioni, né trattativa sulle linee di confine, né riconoscimento di Israele come stato ebraico, né serie garanzie di sicurezza, né alcun limite alla militarizzazione, né un accordo che decreti la fine del conflitto (e delle rivendicazioni), né alcuna pressione perché i “profughi” palestinesi (e i loro discendenti) si stabiliscano nello stato palestinese (e non dentro Israele), né alcunché che impedisca loro di perseguire una seconda fase per cancellare del tutto Israele dalla carta geografica.
Ora, si potrebbe obiettare che è del tutto normale che un popolo voglia tutto senza dover dare nulla in cambio, ma normalmente intervengono alcuni fattori che spingono quel popolo verso il compromesso. Il fatto è che, in questo caso, quei fattori mancano. Ad esempio:
– Sapere che non si potrà ottenere un accordo migliore. Ma i palestinesi sanno che l’occidente offrirà sempre di più, più loro si mostrano intransigenti.
– L’impasse favorisce il tuo l’avversario perché la tua intransigenza sposta verso di lui il sostegno internazionale. In questo caso, invece, più i palestinesi sono ostinati, più viene accusato Israele.
– Pressioni economiche. Dal momento che l’Autorità Palestinese è quasi interamente sostenuta dagli aiuti dall’estero, e che tali aiuti non sono messi a repentaglio dalla loro linea dura, questo genere di pressione non esiste.
– Pressione dell’opinione pubblica interna perché la situazione cambi. Ma in questo caso l’opinione pubblica palestinese è relativamente estremista e ideologizzata, e non chiede reclama un accordo di compromesso.
– La preoccupazione che i tuoi rivali politici interni ti surclassino “in moderazione” e ti sconfiggano offrendo di fare l’accordo. In questo caso è vero il contrario: i rivali fanno a gara “in estremismo”, minacciando di distruggere l’avversario politicamente (e magari anche fisicamente) se fa un accordo di pace.
– La convinzione che il tempo lavora contro di te. A causa della sua ideologia religiosa e nazionalista, combinata con una sbagliata percezione di Israele come stato artificiale e fragile, l’Autorità Palestinese e a maggior ragione Hamas sono convinte che il tempo lavori per loro.
Si potrebbe continuare, ma questo elenco è sufficiente per illustrare il concetto: il mondo in generale – gli Stati Uniti, l’Europa, le Nazioni Unite, i paesi di lingua araba e gli stati a maggioranza islamica – hanno di fatto creato un meccanismo “perfetto”, che si può sintetizzare così:
– L’Autorità Palestinese non ha alcun incentivo per accettare un compromesso di pace, per cui non lo fa.
– Il mondo insiste che la “pace” (israelo-palestinese) è una delle priorità più urgenti e più importanti.
– L’unica variabile che resta è Israele, che dunque deve essere costretto a cedere. Ma Israele non lo fa per l’esperienza di tutti questi decenni e perché i rischi al momento sono troppo alti.
– Stallo totale.
Così non cambierà mai nulla, non vi sarà nessun processo di pace e nessuno stato palestinese, non si registrerà mai alcun “progresso”. Si potrà rileggere questo articolo fra due o tre anni e risulterà perfettamente attuale.

Se non si capiscono i punti qui sopra elencati, semplicemente non si può capire il Medio Oriente. Vi saranno altre migliaia di e-mail, centinaia di articoli, una quantità di costosi convegni e conferenze, dozzine di fondi finanziari, decine di iniziative di pace ma saranno tutte inutili, perché basate su false premesse.
Qui non si tratta di destra o sinistra, ma di una mera spiegazione del perché non decollano mai veramente tutti gli schemi e le teorie di coloro che non considerano questi fatti. Magari non è un concetto politicamente corretto, ma è decisamente corretto in termini fattuali.
Ora, mi si potrebbe chiedere: critichi soltanto o hai anche una politica costruttiva da proporre? Ce l’ho, ed è questa: quando il presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas (Abu Mazen) rifiuta le proposte del Quartetto per i negoziati, gli Stati Uniti l’Europa e chiunque altro voglia farlo con loro gli dicano: “Abbiamo provato ad aiutarvi, ma voi non volete ascoltare. Per cui, dal momento che abbiamo un sacco di altre cose da fare, ci occuperemo di quelle. Buona fortuna, e quando cambiate opinione e decidete di fare sul serio la pace, avete il nostro numero di telefono”. Ciò causerebbe una specie di terremoto in tutti gli ambienti politici? E perché mai? Se non si può risolvere un problema e – chiariamo bene anche questo – il problema non occorre che sia risolto immediatamente, ci si dedica alla soluzione di altri problemi. Certamente non ne mancano.
Mi auguro che abbiate apprezzato questo articolo e lo abbiate trovato utile. Resta tuttavia un problema: non lo trovano tale coloro che hanno posizioni di potere politico, intellettuale e nei mass-media. Soluzione: per favore spiegateglielo, oppure sostituiteli, oppure prendete il loro posto.

(Da: Jerusalem Post, 16.10.11- .israele.net 27-10-2011)
26/10/2011 Riferisce Ha’aretz che l’Autorità Palestinese intende chiedere la scarcerazione di altri detenuti palestinesi, fra cui i capi terroristi Marwan Barghouti e Ahmad Saadat (entrambi membri della dirigenza di Fatah) come nuova precondizione per la ripresa dei negoziati on Israele. “Israele non deve stupirsi se le due precedenti condizioni, blocco degli insediamenti e riconoscimento delle linee del ’67, ora diventano tre”, ha dichiarato lunedì il parlamentare arabo-israeliano Ahmed Tibi (Lista Araba Unita-Ta’al).
sabato 29 ottobre 2011

Vogliamo un altro Shalit, urlava la folla palestinese

Un articolo di Deborah Fait
E’ tornato a casa. Gilad e’ tornato e tutto il popolo di Israele ha pianto di gioia.
La giornata e’ incominciata presto e abbiamo visto il nostro ragazzo uscire dall’auto in Egitto e trascinato letteralmente dai poliziotti egiziani. Camminava a fatica, le gambe non lo reggevano, magrissimo, pallido, respirava a fatica e aveva un sorriso timido e spaventato sul volto.
Poi c’e’ stato lo stupro di un’intervista della TV egiziana,parlo di stupro psicologico perche’ e’ stato trascinato davanti a una TV egiziana, senza nemmeno essere visto da un medico  e  la giornalista lo ha letteralmente bombardato di domande cretine e provocatorie.
Gilad riusciva  a malapena a respirare, a un certo punto ha detto piano “mi sento male” ma nessuno dei presenti lo ha ascoltato . Accanto a lui c’erano due interpreti di hamas incappucciati e davanti a lui il volto impietoso della giornalista che lo incalzava forse pensando ai soldi che avrebbe guadagnato con questo scandaloso scoop della prima intervista a Gilad Shalit dopo 5 anni e tre mesi di prigionia.
L’ultima domanda e’ stata” adesso che tu sei libero, cosa pensi dei prigionieri palestinesi detenuti in Israele, ti batterai per la loro liberazione?”
Con un filo di voce ha risposto educatamente:” Per me potrebbero andare liberi” poi ha ripreso fiato e ha continuato” purche’ non tornino in Israele ad ammazzare. Farebbero meglio ad occuparsi delle loro famiglie”.
La sua risposta non e’ stata tradotta dall’interprete hamas.
Non si puo’ non notare la differenza tra l’etica  egiziana e quella israeliana dove tutti i giornalisti si sono imposti di non disturbare Gilad con riprese e domande e di non essere presenti al suo incontro con i genitori per rispettare nel modo piu’ totale la loro privacy.
Grande Israele!
Un grande Paese cui sono orgogliosa di appartenere.
Gilad alla fine e’ tornato, dopo varie visite mediche ( lo staff dell’IDF era andato a prelevarlo con i piu’ sofisticati apparati medici, quelli usati a Haiti) Gilad e’ tornato nella sua Mizpe’ Hila’ dove migliaia di persone con le bandiere di Israele hanno fatto ala mandandogli baci e fiori, cantando “Gilad e’ tornato vivo” e dopo aver cosparso il tragitto verso la sua casa di rose bianche.
Gilad e’ tornato vivo, si, pallido , grigio in volto, debolissimo, il corpo coperto di ferite ma vivo e sorridente!
I giornalisti che facevano la cronaca durante tutta la giornata hanno detto colla voce tremante che quando Gilad ha sentito al telefono la mamma, prima di incontrarla (non esistono foto del loro incontro!) l’ha salutata come ogni ragazzo israeliano fa :” Hallo, Ima”.
Il prezzo pagato per riavere Gilad e’ stato pesantissimo e solo un paese forte, un popolo speciale possono decidere di pagarlo per la vita di un ragazzo.
Un popolo speciale che ha visto andare liberi e sghignazzanti i peggiori criminali, assassini di famiglie, assassini di bambini, assassini, canaglie, criminali accolti come eroi da chi e’ degno di loro. Gli assassini che abbiamo liberato non sono una parte deviante della societa’ palestinese, sono la societa’ palestinese stessa. I filmati del loro ritorno a casa mostrano ragazzoni grassi e ben portanti, pieni di forza, sghignazzanti, le dita alzate a V, la gente che li abbraccia e salta e urla “vogliamo un altro Shalit”.
Si, amici, questo e’ quello che urlavano tutti, vogliamo un altro Shalit! Questa e’ la societa’ palestinese, un intero popolo pieno di odio e violenza, tanti milioni di cloni di assassini che vorrebbero solo il sangue di Israele.
Ieri la gioia per la liberazione di Gilad si mescolava al disgusto per la liberazione di tanti criminali accolti come eroi per aver ammazzato bambini, sterminato famiglie intere.
Con le cure e l’amore della sua famiglia e di tutta Israele Gilad tornera’ il ragazzo di prima.
I mille liberati per lui resteranno sempre quello che sono : feccia, pericolosa feccia.
Bibi Netaniahu ieri ha concluso il suo breve discorso dicendo “Am Israel Hai!”.
Il Popolo di Israele vive.
Deborah Fait
www.informazionecorretta.com

Una petizione per blocccare l'ammissione della Palestina all'Unesco

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Dal Simon Wiesenthal Center, una petizione a Irina Bokova, direttore generale dell'Unesco per chiederle di non accettare la richiesta di Mahmoud Abbas di ammettere lo Stato palestinese nell'Unesco.
Segue una breve storia dell'Unesco.

Cliccare qui per firmare la petizione
25 Ottobre 2011
Agisci ora! Protestate contro il voto per l’ammissione della “Palestina” nell’UNESCO
Firmate la petizione del Simon Wiesenthal Center rivolta al Direttore Generale dell’Unesco per protestare sul voto che ammetterebbe la “Palestina” nell’UNESCO
L’Organizzazione Culturale, Scientifica ed Educativa delle Nazioni Unite(UNESCO)apre la propria Conferenza Generale oggi a Parigi, dove è previsto un voto per ammettere la “Palestina” come membro.
Se questo voto dovesse passare, gli Stati Uniti taglieranno all’UNESCO il contributo di 70 milioni di dollari, che corrisponde al 22% del bilancio totale dell’UNESCO.
Se la Palestina dovesse diventare membro dell’UNESCO cercherà di sfruttare la propria appartenenza per guadagnare sostegno internazionale per cancellare la storia del popolo ebraico in Eretz Yisrael e cercare di prendere i luoghi sacri, come la Grotta dei Patriarchi di Hebron, la Tomba di Giuseppe a Nablus, la tomba di Rachele a Betlemme e la Chiesa della Natività di Betlemme, dichiarandoli come patrimonio interamente palestinese.
Siamo pienamente consapevoli dell’importante ruolo svolto dall’UNESCO per promuovere molti programmi educativi e sociali nel mondo, che è più importante delle questioni di bilancio.
Il Simon Wiesenthal Center, a nome delle 400.000 famiglie iscritte, ha informato la Direttrice Generale dell’UNESCO Irina Bokova che sosteniamo totalmente la posizione degli Stati Uniti e quella di altre democrazie che possono prendere in considerazione azioni similari.
La mossa palestinese all’UNESCO non è altro che un trampolino di lancio di una pesante campagna politica nelle varie agenzie delle Nazioni Unite affinché i leaders, guidati dal Presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas, rifiutino apertamente di riconoscere Israele come stato ebraico e rifiutino i 3000 anni di storia del nostro popolo nei confronti della Terra Santa.
NON DOBBIAMO RIMANERE IN SILENZIO!
Guardate questo video in cui Abu Mazen dice che non riconoscerà Israele: 




Pubblichiamo la lettera inviataci dal lettore Maurizio Ferrari, che ben riassume la non onorevole storia dell'Unesco:
Noto che c'è molto da conoscere, sul lato oscuro dell’Unesco, che predica bene ma razzola male, facendosi dipingere come protettore dei deboli del mondo. Ma, cosa c'è sotto in realtà?
Chi sono i suoi burocrati?
Su internet,per cominciare,c'è gia' qualche appunto interessante a proposito. Su due siti leggo: ‘L'UNESCO è stato a volte al centro di controversie. Durante gli anni settanta e ottanta le nazioni occidentali, specialmente Stati Uniti e Regno Unito, ritenevano che venisse usato dai paesi comunisti e dal terzo mondo come forum per attaccare l'occidente. L'UNESCO sviluppò quindi un piano chiamato "Nuovo Ordine Internazionale dell'Informazione", per fermare le presunte bugie, e la disinformazione che veniva diffusa nelle nazioni in via di sviluppo. L'Occidente lo respinse come un tentativo del terzo mondo e di alcuni regimi comunisti di distruggere la libertà di stampa; gli Stati Uniti si ritirarono dall'organizzazione in segno di protesta nel 1984 e il Regno Unito nel 1985 (il Regno Unito ha nuovamente aderito nel 1997 e gli USA nel 2003)’. Un’altra interessantissima fonte online pubblica: ‘Dopo 63 anni dalla sua nascita nel 1945,dopo le macerie della seconda guerra mondiale, le finalità educative dell’Unesco, alla luce delle sue stesse statistiche sull’analfabetismo nel mondo, sono completamente fallite. Infatti l’ideale irenico che la vide nascere fondava sui cuori l’educazione degli uomini alla pace. L’Unesco si è trasformata però in una costosa e corporativa burocrazia, caratterizzata da privilegi, linguaggi formali inutili e ripetuti come una liturgia da viaggiatori e formalisti di questioni e procedure’. Chissà quante altre informazioni interessanti potremmo trovare con un po’ di pazienza sull’UNESCO ...
un caro saluto a IC complimenti e buon lavoro,
Maurizio Ferrari
venerdì 28 ottobre 2011

Diffamazione online: quando scrivere sui forum o newsgroup è reato

tratto da:
http://www.dirittodellinformatica.it/focus...0080303144.html

Internet e molti servizi on line consentono di esprimere il proprio pensiero in molteplici modi: si pensi a social network come Facebook e MySpace oppure a siti di giornalismo partecipativo, e così via. Però, a volte esprimere la propria opinione può comportare conseguenze spiacevoli se si superano alcuni limiti: quali sono? Quando, on line, si arriva a commettere il reato di diffamazione? Quando possiamo parlare di una vera e propria diffamazione a mezzo Internet?

1. Premessa
Oggigiorno è normale passare parte della propria vita digitale su forum, gruppi di discussione e social network (come Facebook), che ormai rappresentano a tutti gli effetti strumenti di espressione della propria personalità. In questi ambienti virtuali spesso si parla, come al bar, dei più svariati argomenti, talvolta anche in modo approssimativo facendo poca attenzione a ciò che si scrive e dimenticandosi che il forum, a differenza della chat, è uno strumento asincrono (in quanto i messaggi vengono scritti e letti in momenti diversi) che lascia la comunicazione per sempre, o quasi, in rete. Raccontare l’opinione che si ha di un individuo o ancor di più l' esperienze negative su un prodotto o un servizio, è un atteggiamento che non piace, soprattutto alle aziende, che fanno del parere degli utenti il cavallo di battaglia del proprio web-marketing.
D’altra parte è anche vero che trattandosi di discussioni che avvengono online, molti utenti coperti dal loro nick-name e forti del fatto di trovarsi dietro a un computer, si lasciano andare a commenti molto coloriti o accuse del tutto gratuite pensando che la rete sia una zona franca dove sia ancora possibile dire (o meglio scrivere) quello che si vuole. Infatti, capita sempre più spesso che gli autori in buona fede di commenti critici e informali, scritti magari di notte sul forum, siano trascinati in un procedimento penale. Molti potrebbero obiettare che in Italia e soprattutto su Internet, ognuno è libero di esprimere la propria opinione e che scrivere sui boards rientra nel più ampio esercizio della libertà di pensiero. In realtà non è del tutto vero, facciamo chiarezza!

2. La diffamazione online
La diffamazione è un reato strettamente connesso alla persona e al diritto all'onore di cui ogni individuo è titolare ed è previsto dall’articolo 595 c.p.. Esso dispone che chiunque, fuori dai casi di ingiuria, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, é punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032,00 €. Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena é della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065,00 €. Quindi mentre il reato di ingiuria previsto dall'articolo 594 c.p. punisce chiunque offende l'onore o il decoro di una persona presente, il reato di diffamazione punisce chi offende l'altrui reputazione in modo "indiretto" parlando con più persone e riferendosi, appunto, a una persona che non è presente.
Trascuriamo i casi in cui ci si può trovare di fronte a un concorso di reato e soffermiamoci solo sulla diffamazione che può realizzarsi in due modi, a "mezzo di stampa telematica" o a " mezzo di Internet". Del primo caso si è già parlato molto, sia a seguito delle sentenze riguardanti la responsabilità di riviste telematiche, sia tra molte polemiche per il caso del blog sottoposto a un regime equivalente (Trib. Aosta 26/05/2006). Oggetto di questo approfondimento, invece, è l’ipotesi che può capitare all'utente comune quando scrive su un forum o su un newsgroup per sua passione o interesse personale.

3. Gli elementi della diffamazione a mezzo Internet
Il terzo comma dell’articolo 595 c.p contempla la diffamazione online come circostanza aggravante della diffamazione perché realizzata tramite internet che viene considerato un mezzo di pubblicità, perché idoneo e sufficiente a trasmettere un messaggio diffamatorio a una pluralità di soggetti. Perché il reato si realizzi è richiesta la presenza necessaria e contemporanea dei seguenti elementi: l'offesa alla reputazione di un soggetto determinato o determinabile, la comunicazione di tale messaggio a più persone e la volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza di offendere (c.d. dolo generico).


3.1 L'offesa alla reputazione di un soggetto determinato o determinabile
La reputazione è l'interesse tutelato da parte del legislatore e viene intesa come quella stima di cui l'individuo gode in seno alla società per le caratteristiche che gli sono proprie. Per ledere la reputazione quindi sono necessarie espressioni non vere, offensive, denigratorie o espressioni dubitative, insinuanti, allusive, sottintese, ambigue, suggestionanti, se per il modo con cui sono dette fanno sorgere nel lettore un plausibile convincimento sull’effettiva rispondenza a verità dei fatti falsi narrati. La vittima oggetto della diffamazione deve essere invece una persona determinata o determinabile. L'individuazione dell'effettivo destinatario dell'offesa è condizione essenziale ed imprescindibile per attribuire all'offesa una rilevanza giuridico-penale.

3.2 La comunicazione di tale messaggio a più persone
La diffamazione è un reato istantaneo che si consuma con la "comunicazione a più persone". Trattandosi ad esempio di un forum, tale elemento si realizza con il postare il proprio messaggio e si consuma nel momento e nel luogo in cui i terzi percepiscono l'espressione ingiuriosa e dunque, nel caso in cui frasi o immagini lesive siano state immesse sul web, nel momento in cui il collegamento viene attivato (Cass. pen. Sez. V, 21/06/2006, n. 25875). Da sottolineare come si configuri anche nel caso in cui il board non fosse pubblico ma richiedesse una registrazione per leggere i messaggi.


3.3 La volontà di usare espressioni offensive con la consapevolezza di offendere
Ai fini della sussistenza dell'elemento psicologico nei delitti di diffamazione, non è necessaria l'intenzione di offendere la reputazione della persona, ma basta la volontà di utilizzare espressioni offensive con la consapevolezza di offendere. Come è facile notare questo tipo di atteggiamento, direttamente rilevabile in base alle frasi e al significato delle parole oggetto di diffamazione, è uno degli elementi che permette di tracciare il limite tra diritto di critica, tutelato ampiamente dalla libertà di pensiero, e la disciplina delittuosa.


4. Libertà di pensiero e responsabilità penale
L’articolo 21 della Costituzione dispone che "tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione" ma tale diritto incontra dei limiti specifici qualora l'opinione espressa giunga a ledere l'altrui onore e reputazione. Quindi il diritto di critica e la libertà di opinione non possono essere equivocate con la libertà d’insulto, di offesa, di diffamazione dell'altra persona. Un principio costante della giurisprudenza è che la critica, per quanto forte e spregiudicata possa essere, non debba mai diventare insulto, dileggio, disprezzo della persona.
Qualora ciò avvenga non si è più in presenza di una critica ma di una diffamazione! Per ciò che riguarda l’imputabilità non dimentichiamoci che la responsabilità penale è personale, pertanto l’hosting provider che consente agli utenti di accedere ad un newsgroup non può essere ritenuto responsabile per i messaggi che passano attraverso i propri elaboratori. Ciò in quanto il provider si limita a mettere a disposizione degli utenti lo "spazio virtuale" dell'area di discussione e non ha alcun potere di controllo e di vigilanza sugli interventi che vi vengono man mano inseriti (Trib. Lucca, 20/08/2007). Allo stesso modo il gestore del forum sarà, caso mai, responsabile solo della negligenza di controllo oppure per la mancata rimozione del commento denigratorio, dopo che gli sia stato fatto notare ed esso sia realmente offensivo.
Diversamente la giurisprudenza ha avuto modo di individuare anche il confine tra critica e diffamazione che emerge dal rispetto di principi quali la continenza espositiva, la verità e la pertinenza dell’informazione. Pertanto, l’autore di messaggi su forum o newsgroup che con i suoi commenti critichi prodotti o servizi, utilizzando un linguaggio educato, non denigratorio o insinuante senza la volontà e la consapevolezza di offendere, non potrà temere nessun tipo di azione legale rientrando la sua condotta nelle libertà di espressione e di critica garantite dal dettato costituzionale.

Gilad Shalit alla prima intervista chiede la pace

L’odio corre su Facebook. Tante le pagine aperte con intenti xenofobi

 http://www.redattoresociale.it/TopNews.aspx?id=370690

 Libro bianco di Lunaria. Centinaia i casi di pagine aperte che veicolano messaggi per l’eliminazione di migranti, rom ed ebrei. Vi compaiono anche i giochi “rimbalza il clandestino” ideato da Renzo Bossi e “acciacca lo zingaro”, promosso da Forza Nuova. Sempre sul social network, le realtà antirazziste si attrezzano per prendere le contromisure, anche se la disparità di forze è evidente. Le pagine Facebook “Basta con il razzismo su Facebook” e “Segnaliamo il razzismo” sono le uniche in Italia che fanno un monitoraggio quasi quotidiano dei profili e gruppi razzisti sul social media.

La guerra delle parole - analisi di Angelo Pezzana


http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=157&sez=120&id=41992 


Riportiamo da SHALOM di ottobre, a pag. 14, l'articolo di Angelo Pezzana dal titolo "Evviva il doppio standard".

Angelo Pezzana, Bibi Netanyahu

Fra i pericoli che Israele si trova a dover affrontare ce n’è uno apparentemente di non facile identificazione, la guerra sotterranea delle parole. Può essere rubricato sotto la definizione generica di ‘doppio standard’, nel senso che a Israele vengono richiesti atti e comportamenti che in genere nessuno si sognerebbe mai di rivolgere ad altri stati. Ne ricordiamo uno, che è stato protagonista negli ultimi mesi, abbondantemente usato da governi, commentatori, pacifisti vari, persino da esperti che sostengono di essere ‘vicini’ a Israele. Scusarsi, se proprio Israele non può ancora essere portata davanti a un tribunale internazionale, almeno si scusi, se si difende invece di lasciarsi sopraffare.

Israele è l’unico paese al mondo al quale l’opinione pubblica internazionale, attraverso i media più diffusi, chiede di scusarsi per qualcosa che non ha commesso, ma subìto, nel senso che dovrebbe essere Israele a doverle ricevere. La Turchia lo scorso anno ha svolto una azione decisiva nell’organizzazione della spedizione della nave Mavi Marmara, diretta a forzare il blocco davanti a Gaza, una azione illegale per il diritto internazionale, in quanto il blocco navale è stato ritenuto totalmente legale. La nave non aveva l’obiettivo, come falsamente sostenuto, di portare cibo agli abitanti della striscia, ma aveva lo scopo dichiarato di voler forzare il blocco. Che poteva fare il governo israeliano ? Fingere che la nave fosse carica di pacifisti, di volenterosi portatori di aiuti umanitari ? Che fosse piena di pacifisti, quando tutti sapevano che erano violenti e armati, con l’obiettivo di riaprire l’ingresso di armi per via mare nella Striscia ? Era ovvio che Israele non l’avrebbe permesso, la Turchia lo sapeva benissimo, anzi, era proprio questa certezza, il fatto che ne sarebbe derivato un scontro, che aveva convinto Erdogan dare il là alla spedizione. I pacifici passeggeri erano armati fino ai denti, e i soldati israeliani, reagendo, non hanno fatto altro che praticare l’uso della legittima difesa. Ma gli adoratori del doppio standard, ignorando il vero significato della spedizione, hanno puntato il dito contro Israele, accusandola di reazione sproporzionata, una affermazione già fatta propria da D’Alema durante dal guerra di Gaza, e da allora diventata di uso comune. Se ci si difende, si reagisce in maniera sproporzionata, se si attaccano i soldati israeliani, con l’intento di ucciderli, se ne può discutere, è questa la narrativa che circonda l’informazione mediorientale. Il capolavoro però viene più tardi, quando la Turchia, seguendo il progetto di una rinascita del fu impero ottomano, si rende conto che l’alleanza con gli ebrei è un  ostacolo per arrivare ad essere leader di un mondo musulmano che cambia, che sta sostituendo i propri leader, e che forse si è liberata la casella per un nuovo Nasser. Perché non Erdogan ? L’idea non dispiace ai nostri commentatori, si fa subito strada la possibilità di una richiesta di scuse da parte di Israele per le nove vittime della Mavi Marmara, uccise nel conflitto ‘mors tua vita mea’, voluto però da chi l’aveva previsto, e cercato, fin dall’inizio. Invece di imputare al governo turco la messa in scena, omicida nelle intenzioni e nel risultato, è a Israele che si imputa l’arrroganza, così viene definita, nel non voler pronunciare quella parola, che avrebbe potuto, per incanto, risolvere la crisi fra i due stati. Nessuna analisi delle reali intenzioni di Erdogan, mai un accenno della sua volontà di volersi impadronire dal gas sottomarino di proprietà israelo-cipriota, silenzio sull’occupazione di una parte di Cipro, condannata da tutti gli stati del mondo, ma che non viene quasi mai citata dai media, forse per non disturbare i buoni affari con la Turchia. Che può aggredire (Israele), occupare (Cipro), derubare (Israele/Cipro), bombardare (Curdi), perseguitare (minoranze religiose e etniche), nel silenzio complice della disinformazione internazionale, molto più attenta e affascinata dallo sviluppo dell’economia, cosi allettante per economie occidentali in crisi.

La richiesta si è ripetuta nei confronti dell’Egitto. Dopo l’attacco sulla strada che porta a Eilat, lungo il confine con il Sinai, dove sono stati uccisi civili e militari israeliani, anche qui l’attenzione del mondo si è bloccata sulla reazione di Israele, che insieme ai terroristi ha ucciso anche cinque militari egiziani, che però erano dalla stessa parte di coloro che avevano sparato contro gli israeliani. Che facevano quei soldati egiziani ? non dovevano essere a guardia del confine ? Perché non hanno cercato di fermare i terroristi provenienti da Gaza ? I militari israeliani hanno risposto all’attacco sparando contro gli aggressori, la domanda corretta doveva essere quella di voler sapere che ci facevano i soldati egiziani in mezzo ai terroristi. Ma nessuno l’ha posta, ciò che premeva erano le scuse di Israele. Scuse che nessuno ha preteso poi dall’Egitto quando la folla ha assaltato l’ambasciata israeliana al Cairo, bruciato la bandiera, devastato i locali. Se diplomatici non fossero riusciti a sottrarsi in tempo, sarebbe stati sicuramente linciati. Israele ha ricevuto delle scuse per quanto è accaduto ? Certo che no, e perché mai dovrebbe pretenderle, Israele è forte, invincibile, ce lo ripetono fino alla nausea, ad un punto che persino fra gli amici di Israele, sinceri, ne siamo più che certi, si è fatta strada la convinzione che Israele dovrebbe cedere alle richieste di coloro che vorrebbero mettergli accanto uno Stato senza alcuna attenzione verso la sua sicurezza, che a 6 Km di distanza dall’aeroporto Ben Gurion ci sia uno Stato palestinese pronto a distruggerlo con un missile, passa in secondo piano, Hamas, che da anni si esercita da Gaza, in attesa di poterli lanciare dalla Cisgiordania, diventa un fatto irrilevante. D’altronde qualcuno ha mai chiesto le scuse di Hamas per tutte le migliaia di missili che ha lanciato su Israele da Gaza ? No, il doppio standard lo vieta, le scuse si possono pretendere solo da Israele.
giovedì 27 ottobre 2011

Terremoto in Turchia, Erdogan cede e accetta l'aiuto di Israele



http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=41999 

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 27/10/2011, a pag. 16, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Se il terremoto riavvicina Turchia e Israele ". Dalla STAMPA, a pag. 20, l'articolo di Marta Ottaviani dal titolo " Terremoto, la Turchia accetta gli aiuti offerti da Netanyahu ".
Ecco i pezzi:



Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Se il terremoto riavvicina Turchia e Israele "

Fiamma Nirenstein

Il terremoto che domenica scorsa si è abbattuto sulla Turchia è un disastro che fa male al cuore. Adesso, molti gruppi internazionali sono alle prese con il salvataggio e soprattutto con il ricovero e il primo soccorso degli sfollati. Fra loro, a segnale che il destino è il fautore del mondo, e non la politica anche dei più astuti, scorgiamo con stupore alcuni soccorritori con una bandiera (ideale) ornata da una stella di Davide. Israele è là a aiutare la Turchia, che sotto la presidenza di Erdogan non ha fatto che attaccarla in maniera brutale fino all'odio dichiarato e sconnesso, rompendo una vecchia alleanza, considerando Hamas uno dei suoi migliori amici.
La prassi che accompagna un grande disastro è tragicamente usuale, e Israele che è specialista in protezione civile ha subito offerto, con gli altri, aiuto. Ma il governo, mentre ancora le macerie gridavano, ha risposto «no, Israele stia a casa». Ma Erdogan sa bene cosa sanno fare gli israeliani in questi casi: nel 1999, anno del grande terremoto, è rimasta famosa la scena dei soccorritori ebrei che estraggono una bambina di dieci anni rimasta sepolta per 100 ore. Altri undici sepolti vivi furono salvati da loro, e 140 corpi furono da loro disseppelliti. Stavolta a Erdogan è sembrato di dover far prevalere la sua furiosa antipatia politica al rischio di dovere qualcosa a quei nemici contro cui è lucroso avventarsi per conquistare l'opinione pubblica islamista. Ma alla fine, non è andata così: che sia stato il dolore, che sia semplicemente il fatto che a volte una mano santa ti costringe a capire che ci sono cose più importanti della propaganda, per esempio la vita. Non importa. Speriamo che da cosa nasca cosa. Intanto, gli israeliani sono partiti per portare strutture di ricovero e conforto. Ce la mettono tutta come scolaretti alla prova. Siamo certi, e speriamo con la gente turca, che prenderanno dieci e lode.
www.fiammanirenstein.com


La STAMPA - Marta Ottaviani : " Terremoto, la Turchia accetta gli aiuti offerti da Netanyahu "







Recep Erdogan   Bibi Netanyahu

Alla fine la Turchia ha detto sì. Ankara ha accettato l’aiuto straniero per fronteggiare la situazione critica nell’Est del Paese, dopo il sisma che domenica ha colpito la provincia di Van, causando fino a questo momento 471 vittime e 1.650 feriti. Nei giorni scorsi ben 31 Paesi si erano offerti di soccorrere Ankara. Fra i primi, c’era Israele: già lunedì il premier Benyamin Netanyahu aveva telefonato al collega turco Recep Tayyp Erdogan per esprimere cordoglio per le vittime e offrire aiuti. Era il primo colloquio fra i due dopo il cruento blitz israeliano sulla nave turca «Mavi Marmara» nel maggio 2010. Il via libera definitivo è arrivato martedì sera. Alla Turchia servono soprattutto prefabbricati e container per ospitare chi ha perso la sua casa e dovrà affrontare temperature che d’inverno a Van scendono sotto lo zero. Israele ieri ha mandato un Boeing dell’aviazione civile con tende e sette prefabbricati. Il ministro degli Esteri di Tel Aviv, Avigdor Lieberman, ha ridimensionato le speranze di chi auspicava una riconciliazione fra i due Stati, dicendo che diplomazia e solidarietà sono due cose «assolutamente separate». Ma l’accettazione turca degli aiuti israeliani è comunque un incoraggiamento ai «pontieri» impegnati a ricucire lo squarcio apertosi fra questi due ex partner strategici del Medio Oriente.

Il Giappone ha donato 400 mila dollari, anche per contraccambiare quanto aveva fatto la Turchia dopo il terremoto dello scorso marzo. La Macedonia ha inviato 100 mila euro e la Francia farà decollare oggi un aereo carico di generi di prima necessità. Gruppi di persone arrivate spontaneamente da Iran, Bulgaria e Azerbaijan sono al lavoro da giorni.

Pur con tutta questa solidarietà, le polemiche non accennano a diminuire e riguardano soprattutto la scarsa qualità dell’edilizia in una zona notoriamente sismica dove si sarebbe dovuto prestare ancora più attenzione alla normativa vigente. Il primo ministro Recep Tayyip Erdogan ieri è stato costretto ad ammettere che l’alto numero di vittime è stato causato dal crollo di edifici costruiti male. Non solo. Ha anche aggiunto che ci sono stati degli errori nell’organizzazione dei soccorsi nelle prime 24 ore. «All’inizio - ha detto - ci sono state delle vere e proprie manchevolezze, lo riconosciamo. Ma lo Stato si è mobilitato con tutte le istituzioni per aiutare i cittadini».

Il primo problema da affrontare sono i 2.256 edifici pericolanti, per la maggior parte proprietà di privati. Le persone rimaste senza casa sono migliaia e hanno davanti uno degli inverni più rigidi della Turchia. A infondere un po’ di speranza è arrivato il salvataggio di Gozde Bahar, un’insegnante di inglese di 27 anni estratta viva dalle macerie dopo 66 ore. Un altro miracolo, dopo quello della piccola Azra, di appena due settimane, salvata martedì dopo essere rimasta sepolta viva per 47 ore.

Nelle ultime ore nel Paese è divampata anche una polemica per le dichiarazioni di due note giornaliste, che nel giro di poche ore sono uscite in diretta televisiva con commenti anticurdi, sul filo del razzismo, nei confronti dei cittadini di Van. Proprio la minoranza infatti rappresenta buona parte della popolazione nel Sud-Est del Paese, inclusa la zona colpita dal terremoto. «Il nostro dolore è profondo, anche se è successo a Van» ha detto in diretta Duygu Canbas. Le scuse sono arrivate quasi subito, la redazione è stata invasa da migliaia di lettere di protesta, e il premier Erdogan ha definito l’uscita della giornalista «disumana». Ma ormai il danno era fatto. Insieme con l’ultimo sfregio alla gente di Van.

Sari Nusseibeh e Daniel Levy indicano come cancellare Israele



http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=7&sez=110&id=42008 

Riportiamo da FAMIGLIA CRISTIANA del 27/10/2011, a pag. 50, le interviste di Fulvio Scaglione a Daniel Levy e Sari Nusseibeh titolate " Troppi stati per una terra".
La prima osservazione è nella scelta degli intervistati. Daniel Levy è un personaggio ormai fuori da qualunque contesto politico, rappresenta quella sinistra che non ha nemmeno pù la faccia tosta di dichiararsi sionista, è un parto degli accordi di Oslo. Sari Nusseibeh è riuscito ad attirarsi anche gli strali di Haaretz - il che dice tutto su di lui - che in un articolo di Shlomo Avneri ha definitavamente incluso Nusseibeh fra gli intellettuali palestinesi che si oppongono ad un accordo condiviso con Israele.
Piacciono quindi al settimanale cattolico, l'avremmo giurato.


 Secondo Fulvio Scaglione, Daniel Levy e Sari Nusseibeh offrono "molti spunti per un modo diverso di affrontare " il conflitto israelo-palestinese.
Secondo Levy, i palestinesi dovrebbero prendere spunto dalla 'Primavera araba', cioè sprofondare in un inverno islamista? Levy, evidentemente, è distratto. In questi giorni tutti i commentatori si sono resi conto dell'abbaglio preso con la 'primavera araba' (fatta eccezione del quotidiano Repubblica. Forse Levy si è informato leggendo gli articoli di Bernard Guetta e Giampaolo Cadalanu?).
 

Secondo Levy, lo stallo dei negoziati dipende da Israele e dal suo governo, che sarebbero 'per la linea dura'. Rifiutare di cedere ai ricatti dell'Anp significa essere per la linea dura? Nessuna critica ad Mahmoud Abbas che ha fatto tutto quanto in suo potere per minare qualunque negoziato?
Sari Nusseibeh, invece, sostiene che la soluzione migliore sia "
non più due Stati uno accanto all'altro, ma una federazione di due Stati su una sola terra ", uno Stato unico binazionale, insomma, il che comporterebbe la cancellazione di quello ebraico, la soluzione auspicata da tutti gli odiatori di Israele.
Ma per Fulvio Scaglione sono tutti spunti interessanti e diversi. Nessun commento, nessuna critica, solo elogi per i suoi due intervistati. Sulle responsabilità palestinesi non un cenno. Silenzio anche sul fatto che l'Anp non offra mai nulla nell'ambito dei negoziati, nessuna garanzia, solo pretese inaccettabili.
 


Ecco le interviste:


Daniel Levy e Sari Nusseibeh, che abbiamo incontrato durante un seminario dell'Alta scuola di economia e relazioni internazionali dell'Università Cattolica di Milano, ci regalano molti spunti per un modo diverso di affrontare il problema.
Daniel Levy le stanze della politica d'Israele le ha visitate tutte: consigliere politico del ministro della Giustizia Beilin (2000-2001), nell'ufficio di Ehud Barak quando questi era primo ministro, nella squadra di negoziatori dell'accordo "Oslo 2" quando il premier era Rabin. Ma non gli manca il gusto dell'opinione controcorrente, maturato forse alla fine degli anni Ottanta, quando era il responsabile dell'ufficio Anti-razzismo dell'Unione degli studenti di Cambridge. Per cui, è proprio da lui dire che «la situazione in Israele, oggi, è simile a quella che si vede in Italia».
E cioè? «Ha visto le grandi manifestazioni a Tel Aviv? Le 400 mila persone in corteo? Da noi, come da voi, si avverte un fermento, un vento di cambiamento. La gente scende in strada, chiede un cambio di rotta, ma come e quando questo avverrà, e a quale alternativa farà strada, è per ora impossibile dirlo». — D'accordo con l'analogia. Ma tutto questo in che modo riguarda l'eterno conflitto tra Israele e i palestinesi e la mossa di Abu Ma-zen di chiedere all'Onu il riconoscimento dello Stato di Palestina? «Israele, secondo me, ha ceduto a una sorta di "statolatria" in omaggio alla quale ha perso alcuni dei suoi valori fondativi. Nel Paese, gli spazi di democrazia si sono piano piano ridotti. E questo è pericoloso soprattutto nella situazione attuale, quando cioè nel resto del Medio Oriente la democrazia fa qualche piccolo passo avanti». — Più democrazia non è un vantaggio? «Non necessariamente. Prendiamo la crisi con la Turchia: essa è stata in gran parte causata dal fatto che anche il premier turco Erdogan ora deve fare i conti con un'opinione pubblica che pensa in proprio e a cui deve render conto. In un Medio Oriente che, in un modo o nell'altro, sta cambiando, diventa sempre più difficile per Israele garantire la propria sicurezza con le vecchie strategie e nello stesso tempo essere accettato dal resto del mondo. Il che significa: per il bene di Israele, bisogna risolvere il problema dei palestinesi. Cioè, affrontare seriamente la questione dello Stato». — Come giudica la mossa palestinese di chiedere il riconoscimento dell'Onu? «Molto astuta, anche se non produrrà niente. Proprio per questo, la vera sfida per i palestinesi arriva adesso: controllare l'inevitabile delusione della gente e impedire esplosioni di violenza. Da questo punto di vista è decisivo il processo di riconciliazione tra Al Fatah e Hamas, tra Cisgiordania e Gaza. E se Hamas non deciderà di rispettare le leggi internazionali, tutto sarà inutile. Anzi, peggio». — Detto questo di Hamas, pare difficile che Israele possa cambiare le proprie strategie in tema di sicurezza... «Israele può fare molte cose. Potrebbe, per esempio, bloccare o ridurre gli insediamenti. Potrebbe, più realisticamente, ritirarsi dietro la Barriera di protezione, quella che voi chiamate Muro, e poi stabilire un "corridoio" di cinque anni per risolvere il problema. Con ogni probabilità non farà nulla, perché la maggioranza politica è perla linea dura. Una cosa però mi pare sicura: se i palestinesi lanciano una mobilitazione pacifica per i diritti civili, sull'esempio della cosiddetta Primavera araba, e riescono appunto a mantenerla pacifica, l'isolamento di Israele non farà che crescere. Con grave danno per il Paese». — E quindi, su che cosa possiamo puntare? «Al momento possiamo soprattutto sperare in un cambio di mentalità degli israeliani. E come dicevo prima, qualche segnale in questo senso sta già arrivando. Anche se questi non sono gli anni Novanta, l'idea di un quick fix, una soluzione rapida, non è più sostenibile. Non ci crede più nessuno».
Sari Nusseibeh, studi a Oxford e dottorato in Filosofia islamica a Harvard, rettore dell'Università palestinese Al Quds di Gerusalemme, già rappresentante dell'Autorità palestinese a Gerusalemme, se lo chiede da qualche tempo. Ha però appena pubblicato un libro (What is a Palestinian State worth?) in cui quelle due domande sono esplicite già nel titolo. Ma come, proprio lui che a suo tempo aveva rischiato la vita proponendo di rinunciare al "diritto al ritorno" per i palestinesi insediati negli altri Paesi del Medio Oriente pur di avere uno Stato? Dobbiamo leggere in questa posizione una critica alla mossa di Abu Mazen, che invece chiede all'Onu di riconoscere lo Stato che ancora non c'è? «No, non è così. Quella di Abu Mazen è stata una buona mossa, se non altro perché ha riportato il mondo a interessarsi del problema palestinese e dell'occupazione di Israele. Ma la mia domanda è: fatta la mossa, che cosa succederà? E la risposta è: nulla, perché la parte del mondo che potrebbe fare qualcosa non ha alcuna intenzione di muoversi. Che cosa vogliamo fare, sprecare altri vent'anni in trattative inutili? Contro la tradizionale soluzione dei due Stati, lo Stato ebraico accanto a uno Stato palestinese, giocano ormai troppi fattori decisivi». — Quali? «Primo, il vuoto politico negli Usa e l'impotenza di Obama. Secondo: l'orientamento prevalente in Israele. Per arrivare a un accordo accettabile dai palestinesi, si dovrebbe produrre un cambiamento di dimensioni enormi, inimmaginabili. Ricorda tutto il rumore che si fece quando Ariel Sharon ritirò 20 mila coloni da Gaza? Bene. Pensi che ora in Cisgiordania vivono 600 mila israeliani, e mi dica se è possibile che si ritirino. E poi anche i palestinesi sono divisi tra loro. L'unica soluzione è cominciare a pensare in modo radicalmente diverso». — E quindi? «La mia proposta è: non più due Stati uno accanto all'altro, ma una federazione di due Stati su una sola terra». — Quale sarebbe il vantaggio per Israele? «La fine del conflitto, naturalmente. Ma la mia idea dovrebbe piacere pure alla destra israeliana, ai politici come Lieberman per esempio, anche per un'altra ragione. I palestinesi, in questo modo, non chiedono né di cacciare gli israeliani dalla Palestina né, soprattutto, di opporsi a che lo Stato ebraico sia, appunto, ebraico». — E per i palestinesi? «La conquista dei diritti civili. Oggi, con l'occupazione israeliana, ne sono per la gran parte privi. Non possono muoversi liberamente all'interno del Paese, non possono entrarvi e uscirne liberamente, le famiglie sono divise, la libertà d'impresa è ovviamente soffocata e così via. E un'occupazione il cui costo politico è a carico di Israele ma il cui costo fisico, personale, ricade sui palestinesi. Nell'idea della federazione io vedo solo vantaggi per tutte le parti. E aggiungo un'altra considerazione. Per molti anni a noi palestinesi è stato detto: non chiedete di diventare cittadini di Israele, abbiate pazienza e con il tempo vi daremo uno Stato. Nel frattempo, è stata piano piano erosa la base, anche territoriale, di questo ipotetico Stato. Bisogna uscire da questa spirale, perché il tempo che passa rende le cose ancor più difficili». — Lei ha detto che l'iniziativa all'Onu di Abu Mazen non porterà a nulla. Non teme una reazione violenta a questo nulla? «No, affatto. Anzi, invito tutti a stare tranquilli: i palestinesi sanno bene che cosa vuol dire l'occupazione, i rischi che si corrono, i limiti a cui bisogna adattarsi. Penso, invece, che la frustrazione renderà ancora meno verosimile la soluzione dei due Stati e più credibile l'idea di una federazione».

Template per questo Blog

Cercasi disperatemente qualcuno che crei un template per questo blog !

Antisemiti Su Deviantart

Dunque, essi ineggiano all'intifada e alla "associazione umanitaria per i diritti umani" di Hamas, vi mostro alcuni dei loro contenuti in merito :  qui potete vedere una delle loro "Opere" dove di fatto dicono che israele è nazista. http://stix2000.deviantart.com/art/Recycled-Hate-109393033?q=gallery%3Adeviantitalia%2F25574078&qo=63


qui invece parlano dell'attacco alla Freedom flottilla dicendo che gli israeliani sono pirati :

http://quadraro.deviantart.com/art/Pirates-of-Mediterranean-198957034?q=gallery%3Aquadraro%2F31992328&qo=27




Qui si dice che gli Stati Uniti e Israele sono sionisti : http://quadraro.deviantart.com/art/Score-Board-259790600?q=gallery%3Aquadraro%2F26453919&qo=0




Qua in questo video dicono che israele è l'aggressore e che non ha diritto a difendersi dagli attacchi di Hamas :

Qui e qui oltre agli insulti gratuiti mi hanno anche chiamato più volte sionista. (e non sono stato l'unico ad essere chiamato così in modo dispregiativo.)

http://deviantitalia.deviantart.com/blog/44985955/

http://deviantitalia.deviantart.com/blog/44893377/

Come l'antisemitismo è diventato antisionismo con la nascita di Israele :

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=100&id=41371

Il bilancio di 11 anni di attività di Hamas :

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=41698

In merito alla Freedom Flottilla

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=9&sez=120&id=34995



Guardate che magliette vendono loro a Roma......


http://savoirfaire-roma.deviantart.com/art/Football-Jihad-T-Shirt-174322995]http://savoirfaire-roma.deviantart.com/art...Shirt-174322995





Mi ero dimenticato di segnalarvi questo : http://deviantitalia.deviantart.com/gallery/?set=25574078&offset=48#/d1t4o7d]http://deviantitalia.deviantart.com/galler...set=48#/d1t4o7d

Questa è la loro reazione alla mia segnalazione all'Abuso di Deviantart : (sul mio profilo di Deviantart sono presenti anche molti insulti alla mia persona più o meno pesanti, tenete conto che io non li ho mai insultati, ho solo risposto loro in modo ironico.....)

Hanno fatto anche delle contro-segnalazioni per "Rappresaglia".

http://deviantitalia.deviantart.com/blog/44985955/

 Atti di bullismo :