venerdì 2 dicembre 2011

Terzi 'potrebbe' chiudere l'ambasciata italiana in Iran. Modo e verbo sbagliati


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Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 01/12/2011, a pag. 20, gli articoli di Andrea Malaguti e Paolo Mastrolilli titolati " Londra espelle i diplomatici iraniani " e " L’esplosione a Isfahan è stata un sabotaggio ".
Ecco i pezzi, preceduti dal comunicato di Fiamma Nirenstein dal titolo " Tutti i parlamenti si adoperino per contrastare le minacce a un Medio Oriente stabile ".

Fiamma Nirenstein - " Tutti i parlamenti si adoperino per contrastare le minacce a un Medio Oriente stabile "

Fiamma Nirenstein

Dichiarazione dell'On. Fiamma Nirenstein, Presidente del Consiglio Internazionale dei Parlamentari Ebrei (ICJP), Vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati
Roma - "La recente pubblicazione del rapporto dell’Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA) ha rivelato che l'Iran è in una fase avanzata di sviluppo di armi nucleari. A causa della minaccia ripetuta contro Israele e l’Occidente, in qualità di Presidente del Consiglio Internazionale dei Parlamentari Ebrei, vorrei esprimere la mia preoccupazione personale, e quella dei miei colleghi parlamentari, per gli ultimi sviluppi in Medio Oriente.

Un Iran nucleare è una minaccia non solo per Israele, ma per tutto il mondo libero. Come chiarito nel rapporto dell'AIEA, l'attuale sviluppo di tecnologie nucleari in corso in Iran è spiegabile solamente con il loro futuro utilizzo su missili Shahab-3, già in possesso del regime degli Ayatollah. Questi missili, e le loro versioni avanzate in via di sperimentazione in Iran (Shahab-4 e 5), hanno la capacità di raggiungere gli obiettivi sia in Israele che in Europa occidentale.

Ad aumentare le preoccupazione per la corsa allo sviluppo di tecnologia nucleare, c'e' la visione millenaria del presidente Ahmadinejad, ribadita persino dal podio delle Nazioni Unite, che indica chiaramente come il mondo occidentale sia il nemico giurato dell'Iran.

In aggiunta alla crescente minaccia iraniana, c'è stato un aumento nell’aggressivo attivismo della politica palestinese che preclude ogni possibilità di riavviare il processo di pace. Oggi, ci troviamo di fronte alla realtà di un nuovo accordo di riconciliazione tra Fatah e Hamas, un'organizzazione il cui scopo è distruggere lo Stato di Israele. Questo è in contrasto con l'obiettivo ripetuto in piu' occasioni dal presidente palestinese Mahmoud Abbas di creare uno Stato palestinese a fianco dello Stato ebraico di Israele.

I palestinesi hanno recentemente intrapreso diverse iniziative unilaterali, osili alla via dei negoziati, nel tentativo di diventare membro a pieno titolo delle Nazioni Unite e nell’ottenere l’adesione piena all’UNESCO. Ammettendo i palestinesi come membri a pieno titolo nell'organizzazione, l'UNESCO ha aggiunto un altro tassello alla sua costante politica di obliterazione del rapporto immemorabile tra il popolo ebraico e la sua terra - Israele.

Il Consiglio internazionale dei parlamentari ebrei ritiene che questi nuovi sviluppi debbano tenuti in seria considerazione da tutte le istituzioni e gli attori internazionali. Invitiamo i parlamentari di tutto il mondo ad agire contro queste minacce alla stabilita' mediorientale e all'ordine mondiale, ad inasprire le sanzioni contro l'Iran e a lavorare per la ripresa dei negoziati israelo-palestinesi senza la partecipazione dell'organizzazione terroristica Hamas".
www.fiammanirenstein.com


Andrea Malaguti - " Londra espelle i diplomatici iraniani "

                                     Giulio Terzi
«Chiediamo l’immediata chiusura dell’ambasciata iraniana a Londra». Westminster, mezzogiorno, sono passate meno di ventiquattro ore dall’assalto degli studenti fondamentalisti alle sedi diplomatiche inglesi di Teheran e il Parlamento di Sua Maestà è pieno fino a scoppiare. C’è tensione. Il ministro degli Esteri, William Hague prende la parola e pronuncia un discorso complicato che deve sembrare durissimo - lo è - lasciando però uno spiraglio alla ragionevolezza. Siamo sull’orlo del precipizio. Non siamo ancora piombati di sotto. È questo il messaggio che vuole mandare verso Oriente, avendo ben chiaro che l’Iran è alle prese con una feroce battaglia interna che vede da una parte il presidente Mahmoud Ahmadinejad, paradossalmente più disposto al dialogo con il mondo occidentale, e dall’altra l’establishment conservatore, rappresentato dallo speaker del Parlamento, Ali Larjani e incarnato dal leader supremo della Rivoluzione, l’Ayatollah Ali Khamenei. È a loro che si ispirano gli studenti basiji che hanno guidato i disordini di martedì.

Alla House of Commons c’è il silenzio dei momenti decisivi e Hague cerca di tenere sotto controllo il suo groviglio di nervi sbagliati. «Nessun Paese che renda impossibile la nostra presenza sul suo territorio può aspettarsi di avere un’ambasciata funzionante da noi. I rappresentanti diplomatici di Teheran hanno 48 ore per lasciare la Gran Bretagna». Compatto boato d’assenso. Londra ha raccolto solidarietà in ogni angolo del pianeta. Da Mosca a Washington. Solo la Cina, che moltiplica quotidianamente i propri affari con l’Iran, non ha fatto sentire la sua voce. E Teheran, nel giorno della rivolta, grazie all’aumento di due dollari al barile del petrolio, ha incassato cinque milioni di dollari imprevisti. Dettagli, forse, ma di un certo rilievo. Il ministro degli esteri italiano, Giulio Terzi, chiarisce che sta valutando l’ipotesi di chiudere la sede di Teheran e di avere convocato, esattamente come hanno fatto la Germania e la Svezia, l’ambasciatore iraniano nella capitale. La Francia invece richiama il suo ambasciatore da Teheran, mentre Alain Juppé, ministro degli Esteri, invoca «sanzioni tali da ridurre il regime alla paralisi, cominciando col congelamento degli asset bancari e col blocco delle esportazioni di petrolio». Anche la Norvegia chiude temporaneamente la propria sede iraniana, mentre stamattina è previsto un incontro a Bruxelles di tutti i ministri degli esteri dell’Unione.

Forte del consenso internazionale Hague parla pochi minuti dopo avere avuto la certezza che i 26 rappresentanti dello staff inglese e l’ambasciatore Dominick Chilcott sono a bordo di un aereo che li sta riportando a casa. Richiamati a Londra per precauzione e nel contempo «espulsi» dal governo iraniano che non voleva essere da meno di quello britannico. «È chiaro che il governo iraniano sapeva - ha spiegato Hague -. È come se a una gang di ragazzi di strada fosse stata data la possibilità di entrare nelle case e di procurare il massimo di danni possibile».

Lunedì sera, alla vigilia della manifestazione annunciata per protestare contro le nuove sanzioni imposte da Stati Uniti e Gran Bretagna dopo la denuncia dell’International Atomic Energy Agency sulla ripresa del programma nucleare iraniano, Hague si era sentito in dovere di fare un’irrituale telefonata a Teheran per chiedere che la sicurezza dei cittadini inglesi fosse garantita. «Invece gli studenti hanno distrutto ogni cosa. Oggetti privati e documenti segreti. Chiederemo i danni. Ma di certo la nostra reazione non finirà qui». Poi il ponte. «Le relazioni diplomatiche saranno ridotte al minimo. Ma parteciperemo ancora ad incontri internazionali a cui l’Iran sarà presente».

Chi non crede alle mediazioni è invece il conservatore Bernard Jenkin, che decide di consegnare alla Camera il suo sgangherato intervento. «Dopo decenni di mediazioni fallimentari è ora di prendere in considerazione l’ipotesi di un attacco armato». Qualcuno applaude. Ha voglia di guerra. E non è il solo.




Paolo Mastrolilli - " L’esplosione a Isfahan è stata un sabotaggio "

Il sito di Isfahan

L’ esplosione avvenuta lunedì a Isfahan ha danneggiato l’impianto nucleare della città iraniana e non è stata frutto di un incidente. A rivelarlo è il «Sunday Times», citando fonti di intelligence israeliane. Il giornale britannico però non dà spiegazioni sulle modalità e le responsabilità del presunto sabotaggio, e non offre altre conferme oltre a quella dei servizi segreti dello Stato ebraico.

Lunedì gli abitanti della città ad Ovest di Teheran hanno sentito una forte esplosione. In un primo momento l’agenzia semi-ufficiale Fars ha riportato la notizia, ma poi l’ha cancellata, e lo stesso governatore della zona ha smentito l’episodio. La gente impaurita, però, ha chiamato i pompieri, e la confusione seguita al loro arrivo ha costretto le autorità ad ammettere che qualcosa era successo. Poco dopo quindi è stata pubblicata la versione ufficiale, secondo cui c’era stata effettivamente un’esplosione, che era avvenuta in maniera accidentale durante alcune esercitazioni militari. Niente a che vedere con gli impianti nucleari, dunque.

Dal 2004 a Isfahan è operativo un centro per la conversione dell’uranio, che serve ad alimentare le centrifughe per l’arricchimento a Natanz e Qom. In sostanza una struttura funzionale al progetto atomico di Teheran, anche sul piano dell’impiego militare.

Ieri il «Sunday Times», citando fonti dell’intelligence israeliana, ha rivelato che in realtà l’esplosione di lunedì era avvenuta proprio dentro l’impianto nucleare. Come prova ha usato foto satellitari, che dimostrano danni non compatibili con un semplice incidente, escluso dagli esperti sentiti dal giornale. Dunque la conclusione logica è che si sia trattato di sabotaggio.

Il «Sunday Times» però non spiega chi sarebbe responsabile di questa azione, come l’ha condotta e perché. Da qualche tempo girano voci di un possibile intervento militare israeliano per fermare il programma nucleare iraniano, ma il giornale britannico non fa riferimento a questa ipotesi.

Il 12 novembre scorso un altro incidente aveva scosso la Repubblica islamica. Questo era accaduto in una base militare del villaggio di Bidganeh, circa quaranta chilometri a SudEst di Teheran. Un’esplosione aveva ucciso una ventina di militari, tra cui il generale Hasan Tehrani Moghaddam, considerato l’ispiratore del programma missilistico iraniano. Proprio in quei giorni la Repubblica islamica aveva ottenuto dei risultati importanti in questo settore, provando nuove armi. L’incidente era stato collegato all’utilizzo di nuove tecniche per lo sviluppo dei missili, ma ora la vicenda di Isfahan fa sospettare il sabotaggio anche in questo caso. Voci del genere servono comunque a provocare una reazione da parte di Teheran, che consente agli analisti di intelligence di fare valutazioni sulle sue vere attività.

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