giovedì 1 dicembre 2011

Iran, i basiji attaccano l'ambasciata britannica


 http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=999920&sez=120&id=42453

Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 30/11/2011, a pag. 19, l'articolo di Fiamma Nirenstein dal titolo " Fra Teheran e Occidente scontro inevitabile ". Dal FOGLIO, a pag. 1-4, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo "  Gli studenti assaltano l’ambasciata inglese in Iran. Scoppi nelle centrali", a pag. 3, l'editoriale dal titolo " Teheran, Carter e Obama ". Dal CORRIERE della SERA, a pag. 17, l'articolo di Guido Olimpio dal titolo " Gli ayatollah e la strategia della tensione".
Ecco i pezzi:


Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : " Fra Teheran e Occidente scontro inevitabile "

Fiamma Nirenstein

In che consiste veramente il caos irania­no, scoppi, aggressioni, rapimenti, rilasci? È l’uranio, stupido. La lista degli eventi ci aiuta, ma bisogna allargare lo sguardo: lunedì il grande scoppio a Isfahan, uno dei centri di arricchimento nucleare. Poi, ieri, l’attacco di katiushe dal Libano sulla Galilea, nel nord d’Israele, inusitato di questi tempi, perchè gli Hezbollah sono nei guai a causa della rivoluzione siriana che mette in crisi Assad, loro consueto fornitore di armi e aiuti per conto dell’Iran. Ma chiunque abbia sparato dal Libano, siano essi gruppi palestinesi, o la componente sunnita, oppure Al Qaida, si tratta quasi sicuramente di un avvertimento iraniano a chi si era divertito poche ore prima a far esplodere i reattori iraniani.

E lo scoppio di ieri è il secondo dopo quello di Bigdaneh il 12 novembre che ha fatto a pezzi il generale Hassan Mogdaneh, cervello pensante del progetto nucleare, seguito tutta una serie di altri eventi, fra cui la sparizione degli scienziati e i devastanti attacchi degli hacker: insomma, qualcuno pensa intensamente, con dedizione, a bloccare la bomba iraniana. Ma l’attacco dal Libano è un piccolo avvertimento a piantarla, come piccola, specialmente dati i precedenti dell’ambasciata americana nel 1979, possiamo giudicare l’aggressione di ieri all’ambasciata britannica. Naturalmente la causa è stata la politica inglese di sanzioni. Esse peraltro si stanno avventando sull’Iran dopo che l’Aiea ha presentato il rapporto in cui certifica che l’Iran arricchisce l’uranio per scopi bellici. Il Congresso americano sta preparando un pacco di sanzioni letali da approvare prima di Natale.

Intanto, gli scoppi punteggiano l’antipatia internazionale per la politica nucleare degli ayatollah. Dunque che cosa fa l’Iran in queste ore? Perché attacca gli inglesi e poi li rilascia? Perché è un estremo tentativo di mostrare i denti ma senza creare ulteriori reazioni internazionali per seguitare a proteggere la loro potenza atomica in ascesa. Il regime ringhia senza troppo mordere per conservare il punto di arrivo, l’atomica, in una situazione di difficoltà senza precedenti. La situazione economica rischia di precipitare addosso all’Iran con un’ondata enorme di sanzioni; gli scontri interni sono all’apice; la Siria e la Libia sono cupi segnali; l’opposizione interna, pur seviziata, probabilmente sta preparandosi a una rinnovata rivoluzione una volta che le sanzioni mettano l’economia al tappeto, e comunque lo scoppio nel compound segretissimo di Isfahan dimostra che qualcuno dall’interno aiuta un’eventuale azione internazionale. E l’azione internazionale potrebbe essere larghissima: si dice sempre Mossad e Cia, e nessuno pensa all’Arabia Saudita, di cui l’Iran stava per assassinare l’ambasciatore a Washington.
 

L’Iran si è spinto molto oltre un comportamento accettabile, mostrando i denti per difendere la bomba, e quando l’Aiea ha dimostrato che essa è reale, è dietro l’angolo, tutte le sue minacce, le sue aggressioni verbali, l’egemonismo nei confronti delle rivoluzioni arabe, le follie del millenarismo che vuole l’apocalisse per stabilire il califfato mondiale e far tornare il Mahdi hanno acquistato un diverso significato: se l’Iran avrà la bomba, la continua minaccia cambierà tutte le dinamiche di un mondo sotto ricatto. Dunque assistiamo alla preparazione di uno scontro che è in ogni caso definitivo, comunque lo si gestisca.
Gli ultimi eventi ci dicono che nessuno può permettersi un Iran con la bomba, e senza bomba l’Iran può ringhiare, ma non azzannare. Dopo, è un’altra storia.
www.fiammanirenstein.com

Il FOGLIO - Giulio Meotti : "  Gli studenti assaltano l’ambasciata inglese in Iran. Scoppi nelle centrali"

Giulio Meotti

Roma. Al grido khomeinista di “covo di spie”, ieri centinaia di studenti iraniani hanno assaltato la sede diplomatica inglese a Teheran, lanciando bombe molotov e sostituendo la bandiera del Regno Unito con uno stendardo sciita del VII secolo. L’assalto, condotto da membri della milizia rivoluzionaria popolare Basiji sull’esempio della presa dell’ambasciata americana del 4 novembre 1979, è avvenuto il giorno dopo in cui un’esplosione ha colpito Isfahan, dove sorge un impianto clandestino per l’arricchimento dell’uranio.

Gli iraniani hanno saccheggiato l’ambasciata, gettando pile di documenti inglesi fuori dalle finestre alla folla riunita in un sit-in di protesta. I dipendenti dell’ambasciata sono fuggiti da un’uscita secondaria. Due ore dopo l’assalto, le forze di sicurezza hanno ripreso il controllo dell’edificio e liberato sei ostaggi. Ma poche ore dopo, un gruppo di studenti è riuscito a rientrare nell’ambasciata. Il ritratto della regina Elisabetta è stato distrutto, mentre all’esterno gli iraniani inneggiavano con fotografie a Majid Shahriari, uno degli scienziati misteriosamente assassinati nei mesi scorsi. 

Due giorni fa Teheran, che ora esprime “rammarico per alcuni comportamenti inaccettabili”, aveva declassato i rapporti con il Foreign Office britannico, scatenando la peggiore crisi con Londra da molti anni. Il regime è strangolato da un isolamento internazionale sempre più forte, esito anche della pressione diplomatica degli Stati Uniti, che ieri hanno condannato l’assalto “nella maniera più assoluta”. Ora Teheran, provata dalle sanzioni, accusa anche anche un attacco sensazionale ai suoi fortini (nucleari) meglio custoditi. Quando due settimane fa un’esplosione si era verificata nella base di Bidganeh (dove sono stoccati razzi Shaabab in grado di colpire Gerusalemme), il ministro della Difesa israeliano, Ehud Barak, aveva detto laconico: “Ce ne saranno altre”. Ilan Mizrahi, già vicedirettore del Mossad, aggiunse: “Dio benedica chi lo ha fatto”. 

Ieri l’ex capo dell’intelligence israeliana, Amos Yadlin, ha detto che l’Iran “ha già abbastanza materiale nucleare per costruire cinque-sei missili”. Yadlin ha detto che i tecnici “aspettano il via libera dell’ayatollah Khamenei per assemblare l’ordigno”. Un blog statunitense (Tikun Olam), che vanta speciali contatti israeliani, ha scritto che dietro le esplosioni alle centrali iraniane ci sono il Mossad e oppositori iraniani. Anche secondo Yossi Melman, super esperto militare di Haaretz, il Mossad è impegnato in operazioni di sabotaggio del programma atomico di Teheran per evitare che si arrivi allo strike, minacciato dal governo di Benjamin Netanyahu. Yedioth Ahronoth, il maggiore quotidiano israeliano, ha scritto che i quattro missili lanciati ieri in Galilea dal Libano sono “la risposta iraniana a Isfahan”. Lunedì, per la prima volta, il ministro degli Esteri iraniano Ali Akbar Salehi ha confermato che uno dei fisici uccisi nei mesi scorsi, Majid Shahriari, era “il più importante scienziato di Teheran”. Shahriari era uno dei pochi in grado di arricchire l’uranio al venti per cento e, secondo lo Spiegel, l’ultimo di una serie di scienziati uccisi dal Mossad. 

Come Ali Mahmoudi Mimand, il padre del programma missilistico iraniano, o il professor Ardeshir Hassanpour, un cervello della fisica iraniana catalogato dall’intelligence occidentale come “il massimo esperto di Teheran nel settore della ricerca militare”. Uccisi quasi tutti da misteriosi motociclisti come accadde a Fathi Shaqaqi, il leader della Jihad islamica assassinato nel 1995 nell’isola di Malta. Sarebbe opera israeliana anche l’attacco informatico al sistema nucleare iraniano. E’ il virus “Stuxnet”, che ha messo fuori uso molte centrifughe iraniane. Il nuovo capo del Mossad, Tamir Pardo, si è fatto una fama come genio della Neviot, l’agenzia addetta alle telecomunicazioni e all’intelligence informatica le cui incursioni per installare microspie e telecamere sono leggendarie. Dopo Stuxnet, è appena arrivato con lo stesso sistema un altro virus. Nome in codice “Duqu”.

CORRIERE della SERA - Guido Olimpio : " Gli ayatollah e la strategia della tensione "

Guido Olimpio


WASHINGTON — È dal giorno 1 della Rivoluzione islamica che i seguaci di Khomeini ricorrono alla guerra delle ambasciate. Allora, agli albori della teocrazia, gli «studenti» occuparono quella americana con una spettacolare presa d'ostaggi. E ieri, sempre gli «studenti», in realtà attivisti legati alla milizia dei basiji, hanno preso di mira quella britannica. Uno sfregio che risponde alla strategia della tensione del regime. Una tattica in risposta alla pressione diplomatica — sintetizzata dalle dure sanzioni economiche varate da Londra — e da quella psicologica, marcata dal quotidiano rincorrersi di voci su misteriose esplosioni all'interno di siti strategici.

Teheran, in questo modo, vuole riprendere l'iniziativa dimostrando di essere capace di creare problemi. Mi colpite ai fianchi — sembra dire il potere — e noi restituiamo lo schiaffo in modo diretto. Anche se, secondo costume, la ritorsione è affidata ai cosiddetti «studenti», pronti a scattare come robot a un ordine della Guida.

Il segnale d'attacco, infatti, è venuto 24 ore prima proprio dal leader Alì Khamenei che ha indicato nella Gran Bretagna «l'icona dell'imperialismo». Poi è stata la rabbia «naturale» dei cittadini a fare il resto. Un teatrino dove il governo può scaricare la colpa sulla folla, ordinare il fermo di qualche dimostrante e avere la faccia tosta di «deplorare» quanto è avvenuto. Un copione che gli iraniani usano dagli Anni 80 e che hanno riadattato alle esigenze attuali.

A Teheran, infatti, non sono giorni facili. Le autorità sono costrette ad acrobazie verbali per smentire una lunga striscia di episodi poco chiari. Prima l'esplosione in un impianto missilistico che ha provocato la morte di un alto ufficiale e danni consistenti. Quindi la fine dai risvolti oscuri di un figlio della nomenklatura, Ahmed Rezai, trovato senza vita in un hotel di Dubai. Morte naturale — come rassicura la versione ufficiale — o ammazzato durante un interrogatorio brutale dei pasdaran? Due giorni fa un altro «botto» in una città chiave come Isfahan, che ospita un centro nucleare e siti militari. Un portavoce ha sostenuto che si è trattato di un problema verificatosi nel corso di una esercitazione. Incidenti o sabotaggi che siano, si tratta di eventi che non è possibile nascondere. Invece il regime, di solito generoso nel denunciare i complotti, nega su tutta la linea arrivando persino a smentire che sia avvenuto qualcosa.

Diversi osservatori sostengono che i mullah non vogliono farsi trascinare in una trappola di azione e controazione. Neppure vogliono offrire pretesti a chi è pronto a stringere ancora di più il cappio. Al tempo stesso, però, non possono ignorare la loro vocazione alla sfida, gli impulsi degli estremisti e la voglia di vendetta dei parenti dei «martiri». Ecco allora le rivelazioni sulla cattura di una dozzina di agenti Cia, le minacce contro chiunque oserà (dunque domani e non oggi) attaccare l'Iran e infine l'assalto all'ambasciata, molto coreografico e che riattizza lo spirito rivoluzionario.

Gli ayatollah provano a regolare il fuoco della risposta, cavalcano questo o quell'episodio, e tengono testa alla comunità internazionale. Temono nuove sanzioni, però pensano che saranno i loro partner economici a rimetterci di più. Non sottovalutano l'ipotesi di essere attaccati militarmente ma sono convinti che il blitz non sia così vicino. Il nemico — ha spiegato un analista molto ascoltato — non avrà il coraggio di lanciarlo e si affiderà ancora alle operazioni segrete. Si gioca allora sui nervi, provando a dimostrare che l'altro è più debole, costringendolo a un passo indietro, mettendolo in imbarazzo. E quando è possibile si affonda un colpo. Sperando che non inneschi uno scontro totale.

Il FOGLIO - " Teheran, Carter e Obama "

Barack Obama, Jimmy Carter


E così le forze di sicurezza del governo iraniano, che hanno fatto del controllo brutale della piazza una scienza, ieri nella capitale dai 14 milioni di abitanti non sono riuscite a impedire che 50 studenti scavalcassero i cancelli dell’ambasciata britannica, saccheggiassero gli uffici, prendessero in ostaggio sei dipendenti e nemmeno a domare gli altri 200 che fuori urlavano “Morte all’Inghilterra!”. L’assalto violento alla sede di rappresentanza percepita come nemica sta diventando il nuovo protocollo diplomatico dei regimi che si sentono accerchiati, come due settimane fa hanno scoperto le ambasciate di Turchia e Arabia Saudita, assaltate a Damasco a soli cinquanta metri dalle finestre silenziose del presidente Bashar el Assad. Prima la Siria, ora l’Iran. Questo tipo di assalti è pura intimidazione di stato. Permette al regime di turno di esibire un’assoluta e finta identità di vedute con il proprio popolo, anzi, di apparire moderato al confronto, e di rafforzare il proprio messaggio contro la comunità delle nazioni: la forza del popolo prevarrà contro di voi, in assoluto e deliberato disprezzo della legge internazionale. “Siamo rammaricati”, ha poi detto ieri, a cose finite, il governo iraniano per evitare complicazioni serie. 

E’ la beffa dopo la devastazione. Se c’è un’immagine iconica dell’assalto all’ambasciata è senz’altro quella dell’aggressore che porta via sotto gli occhi di un poliziotto immobile un poster del film “Pulp fiction”, John Travolta e Samuel L. Jackson in cravatta sottile e pistole spianate. E davvero il regime si sente così, con la minaccia delle sanzioni e una serie temeraria di sabotaggi militari (l’ultimo forse lunedì) spianate in faccia. A Teheran non c’è l’ambasciata di Israele, è stato quasi scontato che toccasse agli inglesi, da tempo trasformati dalla propaganda di regime in un nuovo bersaglio. Ma è impossibile evitare il collegamento con l’assalto all’ambasciata degli Stati Uniti, che oggi è un edificio vuoto. La crisi degli ostaggi americani nel 1979 fu il punto di non ritorno della Rivoluzione khomeinista. 

Ma simbolicamente il ’79 fu anche il punto più drammatico della crisi della presenza occidentale in medio oriente, e in particolare della leadership americana: l’operazione fallita dalle forze speciali di Washington per liberare gli ostaggi paralizza ancora con il suo ricordo le Amministrazioni americane quando guardano all’Iran. L’ambasciata perduta fu il disastro di Jimmy Carter, un presidente democratico che, come Barack Obama, cercava il dialogo e l’apertura con risparmio della forza. Anche Obama indulge nella ricerca del dialogo e della mano tesa, ma ha mostrato anche un altro suo lato, quello di spietato ed eccellente esecutore di incursioni in territorio nemico, se le circostanze lo richiedessero.

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